FRANCIA

2013


“ Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre,
ma nell’avere occhi nuovi.” (Marcel Proust)

 

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11 luglio, giovedì
La vacanza estiva 2013, pur rispettando la nostra tradizione, è diversa.
Infatti siamo diretti in Francia, paese che abbiamo visitato più volte e che si fa sempre ammirare, se lo si guarda con “occhi nuovi”.
E’ anche la nostra prima lunga vacanza con il nuovo camper. Non senza un certo rammarico alla fine dell’estate scorsa abbiamo ceduto il nostro Rimor e abbiamo acquistato uno Chausson mansardato, per avere a disposizione dei letti in più, in previsione di portare con noi il nostro nipotino.
Partiamo da Milano nelle prime ore del pomeriggio, in una giornata calda e ventilata. Incredibilmente le tangenziali e l’autostrada sono scorrevoli. Viaggiamo tranquilli verso il confine con la Francia, che raggiungiamo salendo lungo la tortuosa statale che da Susa porta al passo del Moncenisio.
In prossimità della meta il nostro sguardo si posa sul ciglio della strada, attratto dal fischio di una grossa marmotta, che lesta scende nel prato e s’imbuca nella tana.
Al valico ci fermiamo. Altri equipaggi condividono con noi la sosta notturna. Dopo cena quattro passi ci portano alla chiesetta piramidale, dedicata a Maria Assunta e lì ringraziamo il Signore per questo tempo di riposo che ci sta donando.

 

12 luglio, venerdì
I 2400 m di altitudine del Moncenisio si sono fatti sentire. Alle ore 8.00 sul camper ci sono 13°C,ma sotto il caldo piumone siamo stati bene e la silenziosa notte è trascorsa velocemente.
Il cielo è sereno, c’è solo una sottile velatura lattiginosa che avvolge i crinali delle montagne e aleggia sul lago.
Rapidamente ci prepariamo. Dopo un cenno di saluto ai due anziani camperisti francesi, posteggiati vicino a noi, ci mettiamo in marcia. Il versante francese del Moncenisio porta a valle con una strada ripida, dalle ampie curve. Giuseppe guida controllando il camper, la cui manovrabilità è un po’ diversa da quella del semi-integrale precedente e intanto sogna di percorrere la discesa in bicicletta provando l’ebbrezza della velocità.
Raggiunta Modane, seguiamo il corso del fiume Arc fino alla sua confluenza con l’Isére. La valle è stata fortemente intagliata dall’irruenza delle sue acque. Le montagne hanno nude pareti rocciose a precipizio sul fiume, che rumoreggia sempre più in basso. In una strettoia, su uno dei tanti spuntoni, il forte di Maria Teresa, costruito nel XIX secolo, domina la valle. La sosta, improcrastinabile, dà il sapore di vera vacanza a questa giornata di trasferimento, che continua seguendo diverse autostrade fino a Clermont-Ferrand.
Alcune autostrade non sono interconnesse, quindi a tratti seguiamo la viabilità ordinaria. Lungo una di queste dipartimentali, ci troviamo in una situazione tragica per una povera bestia. Un serpentello di circa un metro di lunghezza si trova nel posto sbagliato, nel momento inopportuno. Lo incrociamo dopo una curva in mezzo alla carreggiata. Troppo tardi per frenare, impossibile scartarlo. La disgraziata serpe termina i suoi giorni, lasciando la sua pelle sulla strada.
Clermont-Ferrand è dominata dal monte Puy-de-Dôme sulla cui vetta sorge un osservatorio astronomico. Superiamo l’industriosa città percorrendo le sue vie periferiche. Passiamo accanto al grande stabilimento della Michelin e vediamo in lontananza, spiccare nel centro, i due neri campanili della cattedrale gotica, costruita con pietra lavica.
Siamo nella regione dell’Alvernia, zona di antichi vulcani. Sostiamo nel campeggio di Orcines, un sobborgo della città. Sono le ore 17.00, ci godiamo il relax in un ombroso angolo verde. Al termine della giornata, riprendiamo le nostre buone abitudini, tra cui la nota spese. Ma quanto costano le autostrade francesi!!! Domani solo strade ordinarie.

13 luglio, sabato
Alle ore 9.00 inizia la seconda lunga tappa di trasferimento, dopo aver programmato Heidi, il navigatore, secondo l’itinerario che esclude le autostrade.
Inizialmente il tracciato si snoda lungo strade dipartimentali che seguono fedelmente l’orografia del territorio in un continuo saliscendi compreso tra i 600 m e gli 800 m. La zona, occupata anticamente dalla fitta foresta boreale, di cui è rimasta traccia sulle sommità delle colline e lungo i confini tra i coltivi, è ora adibita a uso agricolo e pastorale. Le coltivazioni cerealicole si perdono a vista d’occhio e colorano d’oro e di verde il paesaggio. Là dove il campo riposa, placide vacche e teneri vitelli dal color miele e ruggine brucano e ruminano ignari della loro sorte.
Ogni due, tre chilometri la voce di Heidi preannuncia la presenza di una rotonda. E’ un continuo frenare, scalare marcia, riprendere velocità.
L’insediamento umano è scarso. Dove è presente, le case piccole e semplici, si allineano in modo ordinato lungo la strada. Esse sono costruite con la pietra e rese vivaci con le imposte colorate e i fiori.
Facciamo una prima breve sosta in un borgo per comprare la baguette, poi un’altra a Bourganeuf, dove presso la sua piccola area camper provvediamo al ricambio del nostro patrimonio idrico. Una terza sosta la facciamo in una tranquilla area pic-nic per il pranzo.
Ripreso il viaggio, siamo costretti a seguire una deviazione, perché la strada che stiamo percorrendo è interrotta, causa lavori. Le indicazioni sono chiare. Le nuove strade sono sempre dipartimentali, ma molto più strette, tortuose e con il fondo sconnesso. Ciò ci costringe a rallentare notevolmente la marcia, ma il disagio è ricompensato dal panorama. A volte sembra di essere dentro un quadro. Il giallo verdognolo dei castani in fiore risalta davanti al verde cupo degli abeti, inframmezzato dal rosso scuro dei pruni. Davanti a noi volteggiano ondeggianti passeri e ballerine. Più in alto le rondini intrecciano voli veloci. Alcuni rapaci, appollaiati sui covoni, scrutano i campi ormai nudi alla ricerca di cibo.
Dopo Limoges, attraversata nel primo pomeriggio, si scende di altitudine e anche la morfologia del suolo diventa più pianeggiante. Arriviamo alle ore 18.00 a La Rochelle, la nostra meta.
Non senza difficoltà seguiamo le indicazioni per il camping che è al porto. E’ la vigilia della festa nazionale. Una marea umana cammina per le strade occupando anche le carreggiate destinate alla viabilità. Quando giungiamo a destinazione, il cartello “complete-full” è fonte di delusione. Speranzosi, ci indirizziamo verso l’altro camping quello municipale, che dista dal centro circa tre chilometri. Qui ci assegnano l’ultima piazzuola disponibile. Sono le ore 19.00. Stanchi ma felici ci sistemiamo e prepariamo la cena.

14 luglio, domenica
Con l’autobus delle ore 9.51 ci rechiamo in centro, dove alle ore 11.00 parteciperemo alla messa, che si celebra nella cattedrale. Scendiamo in Place de Verdun, proprio vicino alla cattedrale di san Luigi. La visitiamo subito.
L’edificio, costruito nel XVIII secolo, esternamente è in ristrutturazione. E’ edificato in pietra bianca, ha tre navate. Le due laterali sono contornate da piccole cappelle, alcune delle quali hanno come sfondo dei finestroni istoriati.
Usciamo e, nell’attesa della messa, percorriamo Rue du Palais alla ricerca di un bar. La via, che è la principale della città, è ancora deserta, ci godiamo la passeggiata solitaria sotto i suoi bassi portici. Troviamo un bel bar dall’arredamento ottocentesco. Entriamo. Mentre beviamo il caffè, il cameriere s’informa circa la nostra nazionalità. Sentito che siamo italiani, ci dice che gli italiani sono famosi per la guida veloce in autostrada. Certo non siamo le tartarughe francesi!
Noi col camper, in autostrada, teniamo una media di 90 km/h, nonostante ciò superiamo tante automobili dei transalpini!
Dopo messa visitiamo l’affollato mercato generale. Ha i prezzi giusti per spennare i turisti, ad esempio le albicocche sono in vendita a 4.50 € il chilogrammo. Non compriamo nulla.
Pranziamo nella città vecchia in un ristorante dalla cucina orientale, gustando piatti al curry, di pesce per Giuseppe, di carne per Paola.
Nel pomeriggio raggiungiamo il porto, passando attraverso la porta de la Grosse Horloge, che è sormontata da un torrione quadrato con dei torricelli angolari.
La Rochelle è una città di origine medioevale, che sorge sul fondo di un’ampia e profonda baia, che si apre sull’oceano Atlantico. E’ giorno di festa. La zona portuale è transennata e chiusa al traffico veicolare. Brulica di persone che girano curiose tra le bancarelle del mercatino etnico.
Il vecchio porto è oggi approdo per le imbarcazioni da diporto. Esso è segnalato dai suoi fari, che lampeggiano ritmicamente. La sua bocca è chiusa a destra dalla Tour Saint Nicolas e a sinistra dalla Tour de la Chaîne, entrambe del XIV secolo. A ovest rispetto a quest’ultima sorge la Tour de la Lanterne, eretta nel secolo successivo. Ha una bella forma cilindrica ed è sormontata da una svettante guglia gotica.
Ritorniamo al campeggio percorrendo il tracciato ciclo-pedonale, che costeggia l’oceano.
Il sole fa sentire la sua forza sui nostri visi ancora smunti. Il vento ci dona aria iodata e rende piacevole la passeggiata, mitigando la sensazione di caldo. C’è bassa marea, l’oceano lontano è navigato da tante imbarcazioni, mentre quelle rimaste all’ancora riposano sul fondale asciutto coricate su un fianco.
Il campeggio si è svuotato. Sotto i frondosi alberi guardiamo lo squarcio di azzurro tempestato di gabbiani, che bianchi brillano al sole.

15 luglio, lunedì
Notte calda, troppo per i nostri gusti. Nonostante i finestrini e gli oblò aperti la temperatura non è scesa sotto i 26°C.
Governiamo il camper e ci mettiamo in marcia. Oggi ci spostiamo di circa 60 chilometri verso nord-est. Lasciamo la costa atlantica per recarci nella zona della Marais Poitevin.
Essa è la seconda zona umida della Francia. E’ chiamata la piccola Venezia verde. E’ un vasto labirinto d’acqua formato da fossi, ruscelli, canali più o meno grossi che intersecandosi ritagliano zolle di terra di diverse dimensioni. Nel corso dei secoli la zona ha subito opere di bonifica e di prosciugamento e il suo territorio è stato messo a frutto con l’agricoltura e l’allevamento bovino. La parte che è rimasta allo stato naturale è sfruttata turisticamente. Si può noleggiare delle imbarcazioni o fare un giro guidato. L’area camper è gratuita e sta a La Repentie de Magné, in prossimità di uno dei tanti imbarcaderi.
Vi giungiamo verso le ore 11.30 e ci sistemiamo sotto un grande olmo. Dopo il pranzo e un po’ di benefico relax, scegliamo la navigazione guidata di due ore. La barca può portare dieci persone. Siamo in sette e noi siamo i più leggeri, il che è tutto dire!!!
Il biondo giovane imbraccia il lungo remo e, puntandolo sul fondo del canale, si stacca dalla riva e inizia ad avanzare.
La barca scivola lenta sulla torbida acqua semi ferma. Navighiamo in una galleria verde, formata da innumerevoli specie arboree, arbustive ed erbacee. Gli olmi, dai grossi e rugosi tronchi, si protendono alti verso il cielo e formano insieme ai possenti platani il palco superiore di questa foresta.
I faggi, i fichi e i salici piangenti crescono alla loro ombra e oscurano a loro volta la zona sottostante, dove crescono arbusti ed erbe di diverse specie. Il bosco è lasciato allo stato naturale in quasi tutte le sue parti. I vecchi alberi sono insidiati dai rampicanti. Alcuni rami sono in acqua, ricoperti dai muschi e dalle alghe. Qualche foglia galleggia ed è un appoggio per le leggiadre e sottili libellule dal bel colore azzurro. Le leggere idromere si muovono a scatti sulla superficie dell’acqua, sfruttandone la tensione superficiale. Si vedono anche tanti girini, tutti neri, muoversi in modo disordinato e piccoli pesci guizzare in ogni direzione, forse disturbati dal traffico delle imbarcazioni.
Le sponde presentano incavi, sono gli ingressi delle tane delle lontre. Nelle radure massicce vacche dal chiaro pellame pascolano tranquille. Nonostante il discreto via vai di barche e canoe, si riesce a vivere il giro in armonia con la natura. Raggiunto il fondo di un canale secondario, prima di fare inversione, il ragazzo ci spiega che il materiale organico che si deposita sul fondo sta subendo il processo di fossilizzazione e si sta trasformando in combustibile.
Con il lungo remo scava il fondo, sulla superficie risale del gas, che fa ribollire l’acqua. Egli avvicina l’accendino e il gas, essendo metano, prende fuoco. La fiamma azzurrina si perde nell’aria e si spegne dopo pochi secondi. Il fuoco sopra l’acqua è qualcosa d’incredibile!
Seguendo altri canali rientriamo all’imbarcadero. Troviamo l’area camper occupata in ogni suo posto disponibile. Lungo il suo viale centrale alcuni attempati uomini stanno giocando a bocce e innervosiscono i cani con il loro avanti e indietro.
Il tempo passa veloce, è ora di preparare il pesto e la cena.

16 luglio, martedì
Di notte la temperatura si è abbassata fino a 20°C consentendoci un ritemprante riposo.
La giornata inizia bene. I nostri figli ci sono vicini con un SMS di auguri per il nostro anniversario di matrimonio.
Il cielo è completamente terso. Ci prepariamo per la gita in bicicletta, che abbiamo programmato secondo l’itinerario n.9.
Passiamo sul piccolo ponticello e ci troviamo sull’alzaia del canale principale, che taglia in due il paese di Coulon. Seguiamo le precise indicazioni che segnalano ad ogni incrocio la via da seguire. L’itinerario è tracciato in parte su strade bianche, precluse al traffico veicolare e per lo più su strade della viabilità ordinaria, piccole dipartimentali e comunali.
E’ un altro modo per visitare questa zona umida. Nonostante la mancanza di allenamento la nostra pedalata è fluida e neppure troppo lenta. La strada è tutta per noi. Incrociamo qualche ciclista, non più di dieci automobili e due grossi trattori che trainano dei lunghissimi rimorchi. Essi sono diretti verso i campi per raccogliere le balle delle stoppie del grano.
Esili puledri e teneri vitellini non si staccano dalle loro madri intente a pascolare.
Graziose casette si affacciano ai canali. Hanno giardini fioriti, sono un tripudio di colori, di profumi e di farfalle.
I fossi più piccoli hanno la superficie ricoperta dalle lenticchie d’acqua. Attraversiamo ponti per passare da un’isola all’altra. Uno di questi transiti ci riserva una gradita sorpresa. Spaventato dal fruscio della nostra pedalata un airone cinerino si alza con eleganza in volo e silenziosamente lascia il suo posto di guardia per un approdo più sicuro. Dopo venti chilometri siamo di ritorno, soddisfatti della bella gita.
Nel pomeriggio ci spostiamo di circa 100 km, direzione nord-ovest e ci fermiamo al camping municipale di Les Lucs sur Boulogne, il piccolo paese della Vandea, dove il 25 settembre 1993 Aleksandr Isaevic Solzenicyn ha inaugurato il memoriale alle vittime del genocidio della Vandea, perpetrato due secoli prima.
Sistemiamo il camper in un’ampia piazzuola e ci rechiamo in paese. La piazza principale è dominata da una grande chiesa grigia con un possente campanile. E’ stata costruita nel 1902, dove sorgeva la vecchia chiesa del XIV secolo, distrutta da un incendio.
Entriamo. E’ luminosa. La luce rossa del santissimo Sacramento brilla sull’altare maggiore, ci raccogliamo in preghiera. Ai lati del transetto due grandi vetrate illustrano il massacro avvenuto in questo paese il 28 febbraio 1794 e il martirio del curato Voyneau, parroco di Notre Dame du Petit Luc. In quel giorno sono state trucidate 593 persone, di età compresa tra i 15 giorni e gli 84 anni. 110 sono stati i bambini uccisi.
Rientrando in campeggio due anziani signori inglesi fermano Giuseppe per scambiare con lui qualche parola d’italiano. Gli dicono che sono nove anni che stanno studiando la nostra lingua. Giuseppe gli risponde che lui sta tenendo aggiornato il suo inglese con un corso aziendale.
Poi registriamo la nostra presenza presso l’accueil, che apre alla sera. La signorina ci offre in dono un portachiavi e un pin con il simbolo della Vandea: due cuori intrecciati sormontati dalla croce. I due cuori rappresentano i sacri Cuori di Gesù e di Maria ai quali i vandeani sono particolarmente devoti, devozione diffusa grazie alla predicazione di san Luigi Maria Grignon de Monfort.

17 luglio, mercoledì
Dedichiamo la mattina alla memoria dei martiri della Vandea. La Vandea è la regione storica della Francia che per la sua grande fede rifiutò i principi giacobini imposti dalla rivoluzione francese.
I Blues, questo il nome dato ai soldati della rivoluzione, per il colore della loro casacca, avanzavano con l’ordine di trucidare tutti quelli che incontravano e di radere al suolo con il fuoco cascinali e villaggi. Essi erano carichi di odio per la profonda fede dei vandeani, che volevano continuare a vivere del loro lavoro e dei loro valori.
Il popolo contadino, sostenuto dai loro curati, oppose una strenua resistenza. Combatté fino alla morte con forconi e falci contro l’esercito, ben diversamente equipaggiato.
Seguiamo il percorso pedonale lungo la riva del laghetto, poi saliamo una scala tagliata nel bosco e giungiamo alla chiesa di Le Lucs, chiamata “La Chapelle”.
La chiesetta è stata il teatro del terrore. Il 28 febbraio 1794 i soldati entrarono nella cappella e uccisero le cento persone qui riunite in preghiera e poi la distrussero. L’odierna cappella è stata ricostruita identica alla prima.
Al suo interno sono ricordati i nomi dei morti di quella strage, uomini, donne, bambini e la loro età. Siamo fortemente colpiti da questo evento di cui avevamo una scarsa conoscenza, perché appena accennato sui libri di storia, che abbiamo studiato.
Questa pulizia etnica, perpetrata contro il “popolo maledetto”, così i giacobini appellavano i vandeani, è stato il primo genocidio nell’Europa occidentale. Ci raccogliamo in preghiera e accendiamo un lumino come segno della nostra partecipazione a questo lontano dolore.
Scendiamo dal colle e ci rechiamo alla stele du cure Voyneau, eretta il 28 febbraio 1947. Secondo la tradizione rappresenta il cuore e la lingua di quel prete martire.
Infine andiamo al Memoriale. Un video in francese introduce la visita. In sintesi racconta la storia tragica di questa regione. Poi entriamo e nel buio e nel silenzio del luogo risuona dentro di noi ciò che abbiamo letto del discorso inaugurale fatto da Solzenicyn_

“Già due terzi di secolo fa, da ragazzo, leggevo con ammirazione i libri che evocavano la sollevazione della Vandea, così coraggiosa e così disperata, ma non avrei mai potuto immaginare, neppure in sogno, che nei miei tardi giorni avrei avuto l’onore di partecipare all’inaugurazione di un monumento agli eroi e alle vittime di questa sollevazione. […] gli avvenimenti storici non vengono mai compresi appieno nell’incandescenza delle passioni che li accompagnano, ma a distanza, una volta che il tempo li abbia raffreddati. Per molto tempo ci si è rifiutati di capire, di accettare quel che gridavano coloro, che morivano, che venivano bruciati vivi: i contadini di una contea laboriosa, per i quali la rivoluzione sembrava essere fatta apposta, ma che la stessa rivoluzione oppresse e umiliò fino alle estreme conseguenze: e proprio contro essa si rivoltarono. […] le rivoluzioni distruggono il carattere organico della società; quanto rovinano il corso naturale della vita; quanto annichiliscono i miglioramenti della popolazione, lasciando campo libero ai peggiori. […] Nessuna rivoluzione può arricchire un Paese, ma solo qualche imbroglione senza scrupoli; essa è causa di morti innumerevoli, di un esteso depauperamento del proprio paese e, nei casi più gravi, di un decadimento duraturo della popolazione.”

Dopo pranzo ci mettiamo in viaggio. Con uno spostamento verso ovest di circa 90 km, raggiungiamo nuovamente la costa atlantica. Ci fermiamo al camping municipale Le Bosse del paese di L’Epine, situato sull’isola di Noirmautier, che è collegata alla terra ferma con un ponte. Il campeggio è molto ampio, sorge su dune costiere. Ci sistemiamo in un’ampia piazzuola e dopo alcune faccende domestiche ci godiamo le ultime ore pomeridiane riposandoci.

18 luglio, giovedì
Paola si sveglia alle ore 9.00. Abbiamo programmato una gita in bicicletta. Giuseppe è ancora profondamente addormentato. Paola lo lascia dormire. Poi alle ore 9.45 lo sveglia.
Ci prepariamo, facciamo colazione e via sui pedali. Non avendo la mappa dei percorsi ciclabili, nel più classico “sü de chi, giò de là”, ci addentriamo nel dedalo degli argini delle saline, che stanno alle spalle del paese. Le stradicciole sterrate e il paesaggio ci ricordano le valli di Comacchio.
A volte imbocchiamo stradelli ciechi, che terminano nella pineta costiera. Allora lasciamo la bici e saliamo sulla duna per ammirare l’immensità dell’oceano. Oggi lambisce il giallo arenile con blande onde. Sulle sue acque scivolano silenziose delle colorate barche a vela. Poi torniamo indietro, riprendiamo la bici e proseguiamo seguendo un altro argine.
Le saline sono piccole e sfruttate in modo artigianale. Sono divise in vasche nelle quali l’acqua evapora lasciando depositato il sale. Vediamo all’opera alcuni paludiers. Sono gli operai che raschiano il fondo delle vasche con delle larghe pale e accumulano il sale in mucchi conici lungo il loro bordo. Poi con il badile caricano il sale su una carriola e lo portano ai bordi della salina, dove lo accumulano in mucchi più grossi.
Il vento teso ci inonda di salmastro, abbiamo in bocca il sapore del sale.
I canali di scolo hanno le acque ferme e paludose. Garzette e aironi cinerini le vegliano attenti e sono rapidissimi ad alzarsi in volo non appena avvertono il fruscio delle biciclette.
Incrociamo diversi turisti, che come noi pedalano allegramente. Una coppia, oltre al saluto di ordinanza, qui in Francia è consuetudine scambiarsi il bon jour quando ci s’incontra, ci chiede la direzione da seguire per andare al paese, dal quale noi siamo partiti. E’ proprio buffo, noi stranieri a zonzo in un territorio sconosciuto diamo indicazioni a chi almeno è padrone della lingua!
Ricevuto un sorridente merci, proseguiamo e torniamo anche noi a L’Epine, seguendo un percorso più lungo. Per strada incontriamo la casa di un pescatore che vende ostriche e cozze. Giuseppe frena all’istante e con meno di 5.00 € si assicura la cena a base di ostriche. Più avanti un chiosco ai bordi di una salina vende sale aromatizzato. Altra sosta un sacchetto per insaporire il pesce lo acquistiamo. Le confezioni di sale aromatizzato con diversi sapori, ci sembrano una buona idea per alcuni regali di Natale.
Alle ore 14.00 pranziamo con una gustosa insalatona e dopo un breve riposo facciamo una passeggiata sulla spiaggia. L’acqua dell’oceano è cristallina, di un bel colore verde e turchese. Giuseppe si lascia tentare e si tuffa nell’acqua tanto invitante quanto gelida. Paola raccoglie delle belle conchiglie da aggiungere alla collezione del laboratorio della scuola.
Verso sera il vento cala e nubi nerastre si addensano sull’oceano. Dopo circa mezz’ora inizia a piovere. Riponiamo velocemente le poltroncine e saliamo sul camper, mentre un gruppo di ragazzi preadolescenti, che ci ricordano i nostri campeggi con l’oratorio, si affretta a chiudere le tende e a ritirare tutti gli asciugamani stesi.
Alle ore 21.30 non piove più. Il sole rosso lentamente si abbassa e scompare dal nostro orizzonte.

19 luglio, venerdì
Lasciamo L’Epine e le sue belle saline. Siamo diretti a nord, verso i lidi della Bretagna.
Portiamo sulla pelle il ricordo del sole e anche quello delle zanzare. Abbiamo calcolato che in media una persona è punta cinque volte il giorno, peccato che Paola ha ricevuto anche le dieci punture di Giuseppe!
Per tornare sul continente ci sono due strade: il ponte oppure la strada percorribile solo con la bassa marea. Ci piacerebbe percorrerla.
Il calendario delle maree dell’ora legale, che ci hanno dato in campeggio, dice che oggi le basse maree sono alle ore 8.10 e alle 20.41. Sono le 11.30, quindi la strada è già sommersa dal mare, che con il suo flusso raggiungerà la massima marea alle ore 14.00. Siamo però curiosi. Percorriamo quella strada fino al punto in cui si inabissa nel mare e come tanti altri turisti fotografiamo l’evento.
Poi facciamo inversione e ritorniamo sulla strada già percorsa. All’ora di pranzo sostiamo in un’area camper che troviamo all’ingresso di un paese. In questa zona della Francia sono davvero tanti i paesi che hanno pianificato un’area di sosta per i camper. Con un modesto investimento hanno messo in moto un piccolo e redditizio businnes. Mentre pranziamo, entra dalla porta una bella farfalla dalle ali arancioni con due evidenti macchie nere, simili a grandi occhi.
Istintivamente cerca di uscire salendo in alto verso il grande oblò, che però è chiuso dalla zanzariera. Allora Giuseppe apre la zanzariera e la farfalla con un volo deciso riacquista la sua libertà.
Riprendiamo la marcia e dopo un centinaio di chilometri ci fermiamo a Guérande. Posteggiamo il camper lungo le mura della città fortificata in prossimità di una sua porta. Guérande è una cittadella medioevale ben conservata, merita di essere visitata.
Ha una spiccata vocazione turistica, ma non è un grande bazar. Vicino alla porta da cui entriamo, troviamo la Chapelle de Notre Dame de blanche. Al nostro ingresso ci avvolge un’atmosfera mistica. C’è un sottofondo di musica sacra sono le note del Pater noster. Le sue pareti ospitano le riproduzioni degli affreschi di Giotto sulla vita di san Francesco.
Nella piazza principale, intitolata a Giovanni XXIII, sorge il duomo.
E’ un’austera costruzione in stile gotico. Ha tre navate e vetrate che ricordano quelle della nostra cattedrale.
Presso un altare laterale, chiuso da un tendaggio, troviamo la presenza del santissimo Sacramento, sostiamo in preghiera.
Lungo la via che ci riporta al camper, ci fermiamo brevemente ad ascoltare tre ragazze che suonano musica bretone con un flauto traverso, un’arpa e una fisarmonica.
Continuiamo il nostro spostamento lungo piacevoli strade dipartimentali. A Saint Nazaire un lungo ponte ci fa attraversare la Loira, che qui con un ampio estuario sfocia nell’oceano. Alle ore 17.30 giungiamo a Belz e sostiamo al camping Le Moulin des Oies. Ci viene proposta la scelta tra due piazzuole. Optiamo per quella che sta in un angolo tranquillo. Ha il fondo erboso ed è circondata da profumati cipressi. Intanto il cielo si è oscurato. L’afa opprimente si fa sentire ancora per un po’, poi si alza il vento che porta il brontolio di un temporale lontano. Mentre ceniamo, inizia a piovere, prima grossi goccioloni, poi un lungo acquazzone, che si protrae fino al sopraggiungere della notte.

20 luglio, sabato
La giornata di oggi ha un programma tranquillo e inizia bene. Infatti, mentre facciamo colazione, vediamo oltre la siepe, che circonda il campeggio, degli uccelli bianchi.
Ci sembrano le inquiete garzette. Giuseppe si arma di teleobiettivo e dal suo appostamento nascosto le fotografa. Di sera, riguardando le foto, ci rendiamo conto che sono sule, uccelli bianchi dal piumaggio dorato sul capo e sul dorso.
Di mattina con una passeggiata a piedi di un paio di chilometri ci rechiamo a Saint Cado, una piccola isola di questa frastagliata costa bretone. Saint Cado porta il nome del monaco che nel VII secolo costruì un oratorio, fondò un monastero e dedicò tutta la sua vita all’evangelizzazione del luogo. L’isoletta dista qualche decina di metri dalla terra ferma ed è a essa collegata con un ponte che, dice la leggenda, è stato costruito in una notte dal diavolo.
Cado desiderava tanto il ponte per favorire l’arrivo dei fedeli al suo oratorio, ma non aveva i soldi per costruirlo. Un giorno Satana lo visitò e gli promise che avrebbe costruito il ponte in una notte a patto di avere la vita di chi per primo avesse attraversato il ponte.
Cado accettò. Il mattino seguente il ponte era eretto, allora Cado fece attraversare il ponte da un gatto. In tal modo preservò ogni vita umana dal ricatto del maligno.
All’ingresso del paese c’è una fontana con due statue di bretoni in costume. Dà il benvenuto ai visitatori. Passiamo il ponte e percorrendo Rue de la Chapelle arriviamo alla chiesetta romanica del XII secolo. L’edificio nel corso dei secoli ha subito numerose ristrutturazioni, l’ultimo restauro risale al 1960. In questo momento dentro non c’è nessuno. Il primo pensiero è dedicato al Signore, poi la osserviamo nei suoi particolari. L’abside semicircolare riceve luce da tre finestre, quella centrale ha l’effige di saint Cado. Una statua del santo è situata lungo il muro nord.
A sinistra dell’altare maggiore c’è una Pietà del XV secolo.
Alle spalle della cappella, scendendo una breve scala, si giunge a una fontana, dedicata al santo.
La particolarità è che è visitabile solo con la bassa marea. Noi la possiamo vedere e fotografare. Torniamo nella piazza della chiesa. Nel centro c’è un monumentale Calvario di pietra, circondato da quattro pilastri, che hanno alla base una testa d’angelo.
Prima di lasciare questo incantevole borgo, curiosiamo tra le viuzze. In una bottega artigianale Giuseppe regala a Paola una collana di punte di corallo rosa. Dono gentile e molto gradito!
Nel pomeriggio, dopo un po’ di riposo, alcune faccende domestiche e la messa a punto del programma di domani, con le biciclette raggiungiamo il centro di Belz, per prendere nota dell’orario della messa domenicale e vedere dove poter posteggiare il camper. Usciti dal campeggio, giriamo a sinistra lungo la strada che costeggia il golfo. Dopo poche pedalate un’erta mette a dura prova i nostri muscoli ancora freddi.
Recuperate le informazioni, proseguiamo un po’ lungo la costa fino a un altro capo del golfo. C’è alta marea. Il paesaggio è completamente cambiato. Le barche, che questa mattina sonnecchiavano stanche sul fondo del mare, ricoperto di alghe, ora galleggiano e ondeggiano aggrappate alle loro ancore in tensione. Canoe e altre barche navigano sotto il sole cocente. Alcuni bagnanti sono in acqua. Raggiunto il capo, facciamo inversione, superiamo il campeggio e torniamo a Saint Cado per fotografare il luogo con l’alta marea. L’oceano è salito di circa un metro. L’allevamento di ostriche, che sembrava un insieme di siepi piantate nell’oceano, ora è completamente sommerso. Il gioco d’acqua, che si nota in superficie, fa però intuire la presenza di qualche ostacolo sommerso. Di fianco al ponte, su uno spiazzo sassoso, è allestita una piccola mostra fotografica, che racconta la storia della vita dell’isola e la sua leggenda. La guardiamo con interesse e ne traiamo preziose informazioni per il nostro racconto. Incuriosita dalla nostra attenzione una coppia, con cane al seguito, si ferma. Il cagnetto è irrequieto, abbaia. E’ un barboncino, ci sembra la razza prediletta dai francesi, che in genere hanno cani piccoli, pelosi, spesso brutti. Questi signori gettano un rapido sguardo all’esposizione e si allontanano.
Intanto, come ieri, avanzano nel cielo nubi grigiastre, accompagnate dal rimbombo dei tuoni.
Torniamo velocemente in campeggio per ritirare all’occorrenza il bucato e le poltroncine lasciate sul prato. Puntuale alle ore 19.00 arriva il violento acquazzone. Tutto termina in poco più di un’ora, lasciando come ricordo una temperatura più mite.

21 luglio, domenica
Lasciamo l’ottimo campeggio Le Mouline des Oies, ben attrezzato anche per chi ha delle disabilità fisiche, e ci rechiamo a Belz per partecipare alla santa messa. Lì il parcheggio per i camper è presso il centro sportivo. Dovendo fare anche un po’ di spesa, posteggiamo il mezzo nel piazzale del SuperU, che è in prossimità del centro.
Arriviamo alla chiesa alle ore 9.10. E’ ancora chiusa. Fuori c’è un vecchietto in attesa. Anche noi ci sediamo sul muretto e aspettiamo. Alle ore 9.15 arriva il sacerdote, apre la chiesa, che è dedicata a san Saturnino. Ha la classica struttura delle chiese del luogo. Edificata in pietra, è di stile gotico. Ha la forma di croce greca. Arriva qualche fedele. All’unica messa del paese e del circondario sono presenti solo venticinque persone, delle quali cinque uomini. Nessuno dei presenti è minore di cinquant’anni, noi siamo tra i più giovani. Povera Europa! Quale sarà la sua fine, se si perdono i suoi valori fondanti, che hanno le loro radici nel cristianesimo?
Terminata la messa e rifornita la cambusa, partiamo.
Oggi il programma prevede uno spostamento verso nord di quasi 130 chilometri, diviso in tre tappe. La prima ci porta a Pont-Aven, detta città dei pittori, perché in questa località Paul Gauguin soggiornò a lungo e fondò nel 1886 l’École de Pont-Aven raggruppando intorno a sé numerosi artisti.
La cittadina sorge sull’estuario del fiume Aven, che l’attraversa immerso in un bosco dagli scorci suggestivi, che hanno ispirato alcune opere del famoso pittore. Ci addentriamo nel Bois d’Amour seguendo la stradicciola che lo attraversa lungo la sponda dell’Aven. Nel fiume ci sono due grosse oche intente a mangiare tutto ciò che è commestibile. Non sono fortunate queste oche, qui in Francia rischiano la pelle, mentre le oche di Milano se va male rischiano un quattro sul registro!
Ancora oggi la cittadina richiama molti artisti. Lungo le sue strade si affacciano gli atelier dei pittori contemporanei. Alcuni hanno in mostra quadri dipinti con lo stile pittorico di Gauguin, altri invece sono più creativi e producono opere secondo un loro stile. Tra questi Yves Donval ha l’onore di aver collocato, nel 2009, una sua scultura nel Bois d’Amour.
La Bretagna è anche terra culinaria. Numerose sono le biscuiterie. Cediamo alla gola e acquistiamo un pacchetto di biscotti per noi e altri da portare a casa alla nostra mamma e ai nostri figli.
Torniamo al camper, soddisfatti della sosta, ma anche provati dal caldo. 34°C sono davvero tanti e, quando viene a mancare il refluo d’aria, fanno sentire tutta la loro intensità.
La seconda tappa è a Concarneau. Questa cittadina è il più grande porto peschereccio della Francia; oggi è anche un approdo per imbarcazioni da diporto.
La città antica sorge su un’isola ed è circondata da una spessa cinta muraria granitica.
Sono le ore 16.00, ma la meridiana, posta vicina al ponte che la collega con la terra ferma, segna le ore 14.00. Questo ci dice che siamo nel fuso a ovest rispetto a quello di Roma e, considerando l’ora legale, si è avanti di due ore rispetto al sole. Entriamo nella cittadella, saliamo sulle mura e dall’alto osserviamo il porto. Poi percorriamo le sue viuzze lastricate con l’antico pavé. Concarneau è una cittadina votata al turismo di massa. Si presenta come un grande bazar, però i suoi empori vendono per lo più prodotti artigianali e della pesca. Acquistiamo delle scatole di sardine e un quadretto con un caratteristico paesaggio bretone, per la nostra parete dei ricordi. Al termine di questa altrettanto torrida visita, ci concediamo il primo gelato della vacanza.
Ripreso il camper, che avevamo posteggiato nella piazza della stazione, che ha una parte adibita ad area camper, iniziamo la terza tappa, che ci porta a Lesconil. Il percorso si snoda lungo strade dipartimentali piacevoli e sconvolgenti nello stesso tempo. Piacevoli, perché transitano in una zona boscosa e attraversano borghi con piccole case di pietra dai neri tetti spioventi, con piccole finestre dagli infissi colorati e tanti fiori intorno all’uscio. Sconvolgenti, perché in media ogni 500 m c’è una grande rotonda, che obbliga a scalare le marce, a girare a bassa velocità, a riprendere per poi frenare di nuovo subito.
Ci fermiamo a Lesconil, un paesino sull’oceano, presso il campeggio Les sable blanche. E’ ormai sera. Il signore del camper vicino, sta caricando le sue biciclette. Ci saluta, ci dice che la sua vacanza è finita. Domani mattina torna a Grenoble. Ci dice anche che conosce Milano e Bergamo, perché le frequenta per lavoro.

22 luglio, lunedì
Questa mattina il cielo e coperto e la temperatura si è abbassata. Alle ore 10.00 partiamo. Oggi faremo un breve spostamento di circa 60 km, ancora verso nord. Entreremo nella zona della Bretagna denominata Finistère, termine di origine latina, che significa fine del continente.
Ci dirigiamo inizialmente verso Pointe de Penmarc’h, il promontorio che chiude a sud la baia d’Audierne. Sulla sua punta c’è uno dei più importanti fari della costa il Phare d’Eckmühl.
Posteggiamo il camper in un ampio spiazzo, che si affaccia sull’oceano, dove è consentita solo la sosta diurna (9.00 – 19.00).
Con 5 € è possibile visitare il museo dei fari e salire sul faro, mentre è gratuita e altrettanto interessante la visita dell’antico punto di salvataggio. La zona, soggetta a un notevole dislivello di marea, è molto pericolosa per la navigazione. Il fondale roccioso diventa una tagliente insidia per le imbarcazioni, che non conoscono la sua morfologia.
Per questo motivo oggi la costa ha grandi fari posti sui promontori più elevati ed esposti e altri più piccoli edificati sugli scogli più affioranti. Alcune leggende narrano che di notte gli antichi e poveri popoli di questo estremo lembo di terra accendessero, dei fuochi per attirare i naviganti, farli naufragare per impossessarsi delle merci trasportate dalle navi, quando con la bassa marea rimanevano all’asciutto. Queste sono fole!
La storia vera di questa zona inizia nel XIX secolo, quando s’intensificò l’attività peschereccia, aumentarono i commerci, specialmente con l’Inghilterra e iniziarono le rotte atlantiche, anche grazie alle prime navi a vapore.
E’ in questo periodo storico che la zona ebbe un notevole incremento demografico. Si costruirono i primi moli, per favorire l’approdo delle navi indipendentemente dalle maree e i fari per guidare le navi in sicurezza.
Tutti i fari hanno un nome, che può essere lo stesso del promontorio che dominano, oppure è quello di chi li fece costruire, oppure è quello della famiglia, che per generazioni lo ha regolato.
Il faro su cui saliamo porta il nome di Luis Nicolas Vaudet, principe di Eckmühl, che lo fece costruire. Esso è stato eretto nel 1897, perchè in quegli anni, grazie alla costruzione della ferrovia, questa zona peschereccia era diventata ancora più importante.
Infatti, si riusciva a portare il pesce a Parigi in ventiquattro ore. Bisognava, quindi, garantire alle navi una rotta senza pericoli per non lasciare la capitale senza pesce fresco.
Nel museo troviamo interessante la storia dell’illuminazione dei fari. I primi bruciavano legna a cielo aperto, poi il bruciatore è stato chiuso in un lucernario. Anche il combustibile è cambiato nel tempo. Dalla legna si è passati al carbone, poi al petrolio. Con l’invenzione dell’energia elettrica si è cessato l’utilizzo dei combustibili fossili. Oggi i fari sono automatizzati e modernizzati. Molti sono dei radiofari in attività ventiquattro ore. Non c’è più il guardiano del faro, ma dei tecnici specializzati che lavorano su turni.
Saliamo sul faro, passo dopo passo su una lunga scala a chiocciola di 307 gradini di granito attaccati alla parete interna. La tromba della scala è ampia e prende luce da qualche finestra. Saliamo, saliamo, saliamo, intervallando l’ascesa con qualche breve pausa. Solo alcuni bambini, agili come camosci, saltellano da un gradino all’altro instancabilmente. All’altezza di 57 m c’è il terrazzo, che è sormontato dal lucernario, non visitabile, perché il faro è in funzione. L’orizzonte circolare da quassù è molto ampio. Il cielo si è rasserenato e lo sguardo può spaziare bene sull’oceano e sull’entroterra.
Scendiamo e con vista sull’oceano pranziamo. Avevamo lasciato l’oceano con la bassa marea. Ora l’immensa estensione d’acqua inizia a rumoreggiare, perché si è invertito il flusso di marea. A vista d’occhio si vedono i rivoli che avanzano e iniziano a riempire gli anfratti tra gli scogli ancora nudi.
Di fronte a tanta bellezza e precisione della natura, come si può sostenere che il caos ha trovato il suo ordine in modo autonomo?
Molti gabbiani appollaiati sugli scogli più alti aspettano che il benefico flusso porti dei prelibati molluschi, strappati dai fondali più profondi. Alcune persone si attardano ancora per un po’, anch’esse alla ricerca di qualche boccone gustoso.
Dopo pranzo ci spostiamo di qualche centinaio di metri e visitiamo la Chapelle de Notre Dame di Joie. E’ una chiesetta del XVI secolo, che si affaccia sull’oceano a protezione dei naviganti. E’ in stile gotico, la sua volta di legno sembra la carena rovesciata di una nave. E’ attraversata da travi di sezione circolare, che escono dalla bocca di mostri marini, che le fissano alle pareti. Dalla documentazione presente sul luogo apprendiamo che nel 1924 è stata fortemente danneggiata da una tempesta e quindi ristrutturata. All’esterno c’è un Calvario. Ai piedi della croce una Pietà. La pietra granitica è stata erosa dalla salsedine, dal vento e dalle intemperie, quindi le figure hanno perso in gran parte le loro fattezze originali.
Ancora un altro piccolo tragitto e siamo nella Cornovaglia francese, la penisola che chiude a nord la baia d’Audierne.
Secondo un’indicazione letta in un diario di viaggi, recuperato in internet, ci rechiamo al campeggio municipale di Primelin: Camping Kermalero, che dovrebbe avere una vista spettacolare sull’oceano. E’ tranquillo, ha ampie piazzuole erbose, separate da siepi e buoni servizi, compreso il camper service, anche uno spazio giochi per i bambini, però l’oceano si vede solo in lontananza da un suo angolo. Peccato. Oggi l’incantevole tramonto non lo avremmo comunque visto, dato che il cielo si è nuovamente coperto. Segnaliamo invece il problema che abbiamo trovato: le prese per la corrente sono poche e molte hanno l’attacco francese.
Nell’attesa del buio, ben coperti, accompagnati dal cinguettio degli uccelli, continuiamo la lettura dei nostri libri.

23 luglio, martedì
Notte tranquilla, ci svegliamo alle ore 9.00. L’aria è tersa e il giorno promette di essere soleggiato. Oggi sarà una giornata di stampo naturalistico, dedicata al profilo oceanico della Cornovaglia.
Sistemato il camper, riguardo ai suoi bisogni idrici, partiamo e ci dirigiamo a Audierne. La vocazione portuale di questa cittadina è scritta nella sua geografia. Essa sorge sull’estuario del fiume Goyen ed è protetta da un piccolo promontorio. Il suo primo insediamento risale all’epoca romana e gallica. Nel tempo ha subito vicende alterne di sviluppo e di decadenza. Oggi deve la sua fortuna all’antica tradizione della pesca e alla più recente attività turistica.
Posteggiamo il camper lungo il profondo estuario. Dapprima ci incamminiamo sul bastione che argina le maree e raggiungiamo il faro, che guida l’entrata nel porto. Poi ritorniamo sui nostri passi e visitiamo la cittadina. Nel porto alcuni pescatori stanno rassettando le reti e le stendono ad asciugare. Nel periodo che va da maggio a ottobre, l’oceano è abitato da banchi di sardine, attratte dall’abbondanza di crostacei. Le sardine a loro volta attraggono i tonni.
La cittadina non ha particolari bellezze architettoniche. Giriamo per le sue viuzze. Quelle più piccole e defilate mostrano i segni della crisi economica, che morde anche in Francia. Molti negozi sono chiusi e messi in vendita. Invece gli empori che si affacciano sull’estuario attirano i clienti e fanno affari. Noi compriamo la baguette e delle sardine per la cena di Giuseppe.
Pranziamo sul camper di fronte al mare, osservando il via vai dei pescherecci.
Dopo aver telefonato a nostra cognata gli auguri per il suo venticinquesimo anniversario di matrimonio, ci dirigiamo verso Pointe du Raz.
Lungo la strada, il cartello che invita a visitare la Chapelle du saint Tugen, ci convince a deviare. Saint Tugen è un piccolo borgo bretone formato da poche case, che circondano come un grande abbraccio la loro chiesa, che ha una struttura imponente e ha intorno il cimitero.
Leggiamo che qui in Bretagna è molto sentito il culto dei morti, per questo seppellivano i loro cari vicino alla chiesa, centro d’incontro della comunità. Al luogo di culto si accede passando sotto un grande arco, che significa il passaggio delle anime alla vita eterna.
Accanto alla chiesa c’è il Calvario sotto il quale erano sepolti i resti ossei delle persone che erano riesumati, quando nel cimitero non c’era più posto. Sono le ore 13.30, la chiesa è chiusa. Più avanti nel paese c’è una fontana dedicata al santo. Essa si allarga in una vasca, una piscina di purificazione.
Torniamo sull’itinerario prefissato e raggiungiamo Pointe du Raz, che è la punta più occidentale della Francia e anche il capo più rinomato. La Francia sa vendere bene la sua bellezza. Ha regolamentato l’accesso alla zona. 6 € è il pedaggio dovuto, per i camper.
Il capo merita di essere visitato. Con una passeggiata di venti minuti si raggiunge la sua punta, dove è installato un radiofaro, mentre il vecchio faro spunta dall’oceano abbarbicato ad uno scoglio. Accanto al radiofaro c’è la stele della Madonna dei naufragi. In lontananza si vede l’isola di Sein. Il promontorio è ricoperto da una bassa e lussureggiante vegetazione di erica in fiore e ginepro nano. Essa forma un apparente soffice cuscino. Altre zone sono ricoperte dai cardi e da assetate felci, dalla gialla ginestra e da splendide orchidee.
Leggiadri insetti si nutrono con avidità e ignorano i pip-pip della messa a fuoco della fotocamera di Giuseppe. La falesia bruna e rocciosa precipita nell’oceano, che però oggi l’accarezza con delicatezza. Sull’acqua si vedono disegnate in azzurro e blu le traiettorie delle correnti. Con altri venti minuti di passeggiata completiamo il giro del promontorio, passando alti sulla Baie des Trépassés.
Ripreso il camper, ci dirigiamo verso Pointe du Van, la seconda punta della Cornovaglia. Qui il parcheggio è libero. Con una passeggiata di mezz’ora raggiungiamo il capo e osserviamo da un altro punto di vista Pointe du Raz.
Visitiamo anche la Chapelle de Saint Thye. E’ una piccola chiesa con tre navate. Si affaccia sull’oceano. Ha il soffitto di legno di colore azzurro. Belli sono i suoi altari lignei. La sua campana serviva a indicare ai naviganti il pericolo, soprattutto durante le tempeste. Rientrati al camper decidiamo di trascorrere qui la notte.
Dopo cena, alle ore 21.00, torniamo sul capo per vedere il tramonto. Raggiungiamo la chiesetta, buon punto di osservazione. Il sole sta calando, ma il grigio fondale di nuvole, che chiude l’oceano all’orizzonte, lo toglie alla nostra vista, prima che possa affondare nell’acqua.
Alcuni riverberi brillanti sono ciò che rimane sulla liquida superficie, prima che diventi grigia e tremula. Sostiamo ancora per un po’. Osserviamo le nubi che, spinte dal vento occidentale, si sfrangiano. Sembrano piume svolazzanti.
Dopo un’ora sul fondale ferroso compare per pochi minuti il rosso sorriso del sole. Poi la notte cala rapidamente. Si odono le ultime grida dei gabbiani, che litigano per occupare i posti migliori sulla falesia. Il minuscolo popolo della notte si sostituisce a quello laborioso e ronzante del giorno. Si accendono i fari. Ognuno con la sua intermittenza manda lampi di luce.
Velocemente torniamo al camper, grati per questa splendida giornata.

24 luglio, mercoledì
Venti camper hanno trascorso la notte nel buio e nel silenzio più totale di Pointe du Van. Sono le ore 8.00, siamo i primi ad alzarci e, mentre gli altri equipaggi si svegliano, noi ci rechiamo alla Chapelle di saint Thye per dare uno sguardo all’oceano, che questa mattina rumoreggia. C’è un po’ di vento e le onde s’infrangono spumeggiando sugli scogli e le falesie, ma le tempeste sono un’altra cosa e noi non le abbiamo ancora viste. Forse non è stagione.
Dopo alcuni giorni di mare desideriamo cambiare orizzonte. Ci lasciamo ispirare dalla carta geografica. Il Parco naturale regionale d’Armorique sarà la nostra meta odierna.
Fatti pochi chilometri, entriamo in una cellula di bassa pressione. Pesanti nubi nere si schiacciano al suolo con scrosci intensi. A Douarnenez sostiamo per la spesa e la pausa caffè. Paola approfitta della sosta per una telefonata di auguri alla sua figlioccia Noemi. Con quest’anno finisce di contare gli anni su una mano, complimenti! Buon compleanno!
Riprendiamo la marcia, smette di piovere. Ci fermiamo a Locronan. E’ un villaggio che ha conservato integro nei secoli la sua antica struttura. E’ un’ambita meta turistica, per entrare si paga un pedaggio, che è di 3 € per i camper. Non a caso, qui troviamo un discreto numero d’italiani.
L’insediamento racchiude la vecchia piazza. Questo spazio è dominato dalla chiesa dedicata a Saint Ronan. Essa fu edificata nel XV secolo sul luogo della primitiva chiesa romanica, oratorio del santo. E’ di granito grigio e di stile gotico fiorito. Una torre quadrata si erge prima del portale. La chiesa ha tre navate, divise da pilastri formati da un fascio di piccole colonne. L’altare maggiore è ligneo, il tabernacolo è scolpito, dorato e sormontato da angeli, che portano la croce. La grande vetrata rappresenta con sette scene la passione di Gesù. L’altare della navata di sinistra ha al centro Maria incoronata ed è ornato con medaglioni che rappresentano i misteri del rosario. Molto bello è il pulpito del XVIII secolo; è ornato con medaglioni che narrano la vita di saint Ronan. Unita alla chiesa c’è la Chapelle du Pénity, che conserva la tomba del santo.
Terminata la visita, ci spostiamo verso il punto panoramico e dall’alto della collina osserviamo l’esteso tavolato, che termina in lontananza con l’oceano.
Sono le ore 12.30, ci stiamo avviando al camper, ma una crêperie ci ingolosisce con le sue specialità. Ci accomodiamo, ordiniamo due crêpe diverse e del sidro. Con 18.00 € pranziamo in modo gustoso.
Ripartiamo e ci addentriamo nel Parco naturale regionale d’Armorique.
La strada sale e scende di continuo in una zona a tratti boscosa e a tratti agropastorale. Sostiamo a Huelgoat, al campeggio municipale. Poi a piedi percorriamo la stradicciola pedonale, che segue la riva del laghetto dalla parte opposta alla quale si affaccia il paese. Quando raggiungiamo il centro abitato, superiamo il ponte sul torrente emissario del laghetto e ci addentriamo nella foresta demaniale, che la leggenda dice di aver ospitato re Artù. La foresta si estende dopo una forra, dove scorre il torrente. Vi si accede passando attraverso degli stretti pertugi, presenti tra enormi massi erratici. L’ambiente è molto umido. Tutto è rivestito di muschio. Da lontano arriva il suono di una musica celtica. Che atmosfera! Avanziamo, ora il torrente scorre gorgogliando tra il fogliame del sottobosco del faggeto. Lungo il sentiero, la musica è sempre più vicina e avvolgente. Ecco finalmente il suonatore, che con il suo flauto annulla la realtà e crea la fiaba.
Sono ormai le ore 17.30. I nostri piedi sono stanchi di essere chiusi in quei contenitori chiamati scarpe. Ritorniamo al camping e qui termina la nostra giornata.

25 luglio, giovedì
Il programma di massima prevede la visita di Brest e della sua costa, ma questi paesaggi interni ci piacciono tanto. Decidiamo di prolungare di un giorno la permanenza all’interno della regione e poi di spostarci direttamente sulla costa della Manica. La guida del Touring ci dà un’idea per soddisfare il nostro desiderio. Oggi seguiamo il circuito degli “enclos paroissiaux” i complessi parrocchiali bretoni
Uno piccolo lo abbiamo già visto a Saint Tugen.
La prima parrocchia che andiamo a visitare è quella di Saint Thégonnec. Usciti dal campeggio, dopo un breve tratto nella zona ancora forestale, svoltiamo a destra su una strada secondaria che sale. Il paesaggio cambia completamente. La vegetazione arborea lascia il posto agli arbusti e alle erbe. Qua e là ci sono rocce affioranti, di granito grigio. Sembra di essere sugli altopiani norvegesi, invece siamo solo a 300 m di altitudine. Scolliniamo sul Col de Tédudon a 361 m. Da qui si ha una bella visuale sulla regione.
E’ piovuto a intermittenza questa notte e anche questa mattina il cielo è temporalesco. C’è vento, le nubi corrono veloci. Siamo fiduciosi nella clemenza del tempo.
Per entrare nella parrocchia di Saint Thégonnec si passa sotto un grande arco. Il complesso ha un Calvario, l’ossario e la chiesa. Il Calvario ha ai suoi piedi numerose figure. Nella cripta dell’ossario c’è una bella scultura lignea della deposizione di Cristo. La chiesa ha tre navate, un bel pulpito di legno intagliato e degli altari con pale policrome.
Con uno spostamento di pochi chilometri arriviamo a Guimiliau. Questa parrocchia è il complesso più imponente della Bretagna. Oltrepassato l’arco monumentale ci si trova di fronte a un grande Calvario. Ai piedi della croce sono raffigurate nelle quattro direzioni dei punti cardinali episodi del vangelo. La chiesa è a quattro navate. E’ dedicata a Saint Miliau, che è stato fatto decapitare da suo fratello nel 792.
Il portale d’ingresso è scolpito con scene bibliche: dalla tentazione di Eva alla fuga in Egitto della sacra famiglia. Si leggono in modo particolare, spostando lo sguardo da sinistra a destra in modo alterno, incominciando dal basso. All’interno molto bello è il battistero. La vasca granitica è sormontata da un baldacchino di legno di quercia tutto intagliato.
Usciamo quando l’orologio scocca il mezzogiorno. Raggiungiamo l’area camper e lì pranziamo, all’ombra e in perfetta solitudine. Prima di ripartire, carichiamo acqua: qui il rifornimento è gratuito, mentre in altre aree ha un costo variabile tra i 2 e i 5 euro. Altro breve spostamento e nuova sosta.
Ora siamo a Lampaul-Guimiliau. Anche questa chiesa ha altari policromi e il battistero ornato dal baldacchino. Quello che la rende unica è la deposizione di Cristo. Una scultura di pietra calcarea i cui personaggi hanno dei volti molto espressivi, che fanno vivere, a chi li osserva, lo struggimento di quel triste momento.
L’ultima parrocchia che visitiamo è quella di Sizun.
Vi si accede da una porta a tre arcate. La chiesa ha la forma di croce greca. Ci piacciono in particolare le travi intarsiate e i cornicioni che corrono lungo le pareti interne.
Su una casa del paese c’è una meridiana, che inganna il sole. Essendo stata collocata nel 1979, le è stata data l’inclinazione del fuso dell’Europa centrale.
Abbiamo terminato il nostro giro. Non è stato solo culturale. L’atmosfera raccolta di queste chiese, snobbate ingiustamente dal turismo di massa, ha facilitato i nostri momenti di raccoglimento.
Ora torniamo al mare, o meglio all’oceano. Altro breve tragitto e siamo sulla Manica, precisamente a Plouguerneau.
Prima di sostare, proseguiamo fino a Lilia, dove c’è il faro dell’isola della Vergine, uno dei fari più alti della Francia. Rientrati in paese ci accasiamo al Camping de la Gréve Blanche. Siamo in un’ottima posizione, con vista sull’oceano, che ci permette di vedere l’infuocato tramonto.

26 luglio, venerdì
Dopo aver fatto rifornimento di gasolio, conviene sempre usufruire delle pompe dei supermercati, proseguiamo il nostro viaggio, spostandoci verso est, lungo la costa della Manica. La prima tappa è al faro di Pointe de Pontusval.
Questo promontorio si offre ai nostri occhi oltre ogni aspettativa. Arriviamo in pieno sole, la marea ricopre ancora gran parte degli scogli, che sono un insieme di massi granitici dalle forme arrotondate, sparsi o accatastati tra loro. Alcuni sono semisommersi, altri affiorano sulla spiaggia, altri ancora sono più al largo. La visione d’insieme li fa sembrare un branco di balene spiaggiate. L’oceano è calmo e ha dei colori che variano dal turchese al blu oltremare. Il faro è alto 18 m. E’ stato costruito nel 1897, lungo questa costa che è chiamata “dei naufragi”, perché con la nebbia non si vedevano i fari de l’Ile Vierge, da noi visitato ieri e quello de l’Aber-Wrac’h, che sta più a est.
In quelle condizioni capitava che le navi perdessero la rotta e, anche a causa delle correnti, andassero a sbattere contro i macigni, distruggendosi. Il faro è stato costruito per garantire la sicurezza della navigazione in questo tratto di oceano. La sua luce si vede fino a una distanza di 10 miglia.
Siamo stregati da questo posto. Se avessimo avuto conoscenza della sua straordinaria bellezza, ieri saremmo venuti qui, a trascorrere la notte. Decidiamo di prolungare ancora per qualche ora la nostra sosta. Togliamo le scarpe e facciamo una passeggiata sulla spiaggia, che è costituita da minutissimi sassi, che nell’insieme le donano il colore dell’oro. Saggiamo anche la temperatura dell’acqua. Se la sua limpidezza e i suoi colori invitano a fare il bagno, la sua temperatura lo proibisce.
Paola raccoglie ancora delle conchiglie, dai bei colori pastello e un ciottolo di granito. Giuseppe fotografa e, su suggerimento di Paola, inizia a superare la sua avversione per le alghe. Anche la vegetazione marina può essere oggetto di interessanti osservazioni!
Pranziamo sul camper davanti a questo incantevole panorama.
Nel pomeriggio il viaggio prosegue verso est fino a Morlaix, città già visitata dieci anni fa e della quale non ricordiamo quasi nulla. La strada si snoda all’interno rispetto la costa in una zona prevalentemente orticola. Patate e carciofi sono i prodotti di grandi estensioni agricole.
Morlaix è una cittadina posta sull’estuario del fiume Queffleuth, il cui letto è stato profondamente scavato dall’erosione delle maree. Giungiamo in città con la bassa marea. Il letto del fiume, privo di acqua, si presenta pulito, segno del grande rispetto che i francesi hanno per i loro corsi d’acqua. Una diga chiude il fiume per garantire il galleggiamento ai pregevoli natanti ancorati. Lungo la via d’accesso alla città, in prossimità del centro, in un’area a pagamento, posteggiamo il camper.
La città è dominata da un lungo viadotto ferroviario, che la sovrasta da un’altezza di 58 m.
Morlaix è una città storica. Nel medioevo era il più importante centro commerciale della Bretagna. Il suo cuore è ancora costituito da vicoli e piccole strade sulle quali si affacciano case a graticcio, che ricordano l’architettura alsaziana. In Rue de Mur si trova la Maison de la duchesse Anne.
E’ visitabile. La sua facciata è riccamente decorata. La casa è del XVI secolo, è una maison à lanterne, così chiamata perché una lanterna, appesa alla trave del tetto, illuminava la sala d’ingresso. In questa sala c’è un grande camino e una scala a chiocciola di legno di quercia che porta ai tre piani superiori. Essa è stata intagliata da un unico gigantesco albero. Ogni piano è protetto da un santo. San Rocco, san Martino, san Cristoforo sono nell’ordine i tre protettori. Al culmine della scala c’è scolpito nel legno l’arcangelo Michele, che sconfigge il drago.
Visitiamo anche due chiese. Quella di Sainte Melanie del XV secolo e quella di Saint Mathieu, che ha una statua della Madonna, che si apre a libro. Nel cuore della Vergine è rappresentata la Trinità. Nei due pannelli di chiusura alcune scene della vita di Maria.
Ripreso il camper con un altro spostamento di 50 chilometri ci rechiamo a Ile Grande, un’isola collegata alla costa con un ponte. Ci fermiamo al campeggio municipale Dourlin, che si affaccia sulla Manica.
Durante quest’ultimo spostamento ci fermiamo due volte. A Plestin, dove la strada torna a essere costiera, perché sulla spiaggia, abbandonata dal mare, corrono sospinti dal vento i windsurf su ruote. La seconda sosta la facciamo in una biscuiterie. Oltre ai biscotti compriamo un vasetto di alghe al naturale, contorno consigliato per il pesce. C’è in atto una pacificazione tra Giuseppe e questi vegetali? Solo dopo la loro consumazione ci sarà la risposta!
E’ sera. Le due coppie di amici francesi, che ci sono accanto, terminano la cena: pesce arrostito sul barbecue. Un gabbiano accattone atterra davanti a loro. Si guarda in giro, muove qualche passo verso i resti della cena. Si ferma, è guardingo e circospetto, fa ancora qualche passo, arretra. Poi disturbato da due campeggiatori che passano, si alza in volo. Dopo un po’ ritorna, ma la sua indole selvatica gli impedisce di avvicinarsi troppo agli uomini. Alla fine vola via senza aver soddisfatto la sua gola e si ferma sul comignolo di una casa baciata dagli ultimi raggi del sole.

27 luglio, sabato
Nel week end d’inizio ferie per i francesi, decidiamo di rimanere fermi, per evitare l’eccessivo traffico e il rischio di non trovare posto nei campeggi. Saranno due giorni di pausa, che certo non ci faranno male!
Anche il tempo non incoraggia. Il cielo è completamente coperto e l’assenza di vento non è foriera di buone notizie.
Nel primo pomeriggio inizia a piovere. Passiamo il tempo tra lettura, giochi enigmistici e solitari con le carte, poi ci rechiamo alla messa prefestiva. La chiesa è dedicata a san Marco. E’ semplice, le pareti sono di nuda pietra. Un grande Crocefisso posto sul fondo dell’abside racchiude tutti in un grande abbraccio.
In poco tempo la chiesa è gremita di fedeli. Ci sono coppie anziane e tante famiglie con bambini di varie età. Il sacerdote dall’aspetto burbero, ma dalla voce dolce, celebra la messa parlando un po’ in francese e un po’ in bretone. Nel saluto finale di commiato dice qualche parola in inglese e in tedesco.
Intanto è arrivato il sole. Quando usciamo di chiesa la strada è quasi asciutta.
Ceniamo alla maniera del sabato e decidiamo di andare a vedere il tramonto sull’oceano. Mentre Caronte non dà tregua e pace ai milanesi rimasti in città, noi ci copriamo bene: golf e giacca impermeabile. Paola imbraccia il cavalletto, Giuseppe il suo terzo occhio. Siamo pronti per la caccia fotografica.
Sono le ore 21.00, la scogliera sta oltre la duna, che protegge il campeggio. Per ora le nubi che sono rimaste nel cielo celano l’astro luminoso, però l’orizzonte è limpido e giallo, là dove calerà il sole, mentre è rosa e azzurro tutto intorno. Lontano si vedono le colonne ascensionali di vapore, che alimentano e gonfiano le nuvole, che corrono veloci verso terra. Alcune danno l’illusione di essere isole lontane con monti e castelli. Capiamo lo sconcerto degli antichi naviganti, quando scoprivano che quelle terre erano solo dei miraggi. C’è anche un po’ di vento, che ingrossa l’oceano e spinge la marea. Onde rumorose si abbattono sugli scogli, scivolano sfrigolando su di essi e l’acqua in piccoli rivoli torna indietro. Passa mezz’ora e il sole sbuca dalle nubi. La palla arancione indora l’acqua e colora di rosa le nuvole rimaste. Intanto le onde s’infrangono con più veemenza. S’innalzano spruzzi alti. Miriadi di bianche goccioline si liberano vibranti, sembrano una pioggia di coriandoli. Il sole rapidamente si abbassa ed è nuovamente coperto dall’umidità che limita l’orizzonte. E’ trascorsa un’ora, l’ultima striscia arancione si spegne e improvvisamente cala la notte. Rientriamo al camper. L’umidità ci raggiunge e comincia a piovere.

28 luglio, domenica
Tempo bretone. Piove, esce il sole, si riannuvola, nuovo scroscio, vento, sole e intanto l’ultimo quarto di luna ci guarda dall’alto.
In mattinata ci rechiamo in paese per un saluto a nostro Signore e per comprare la baguette e un dolcino, il vizietto della domenica!
Al bar consumiamo il caffè di metà mattina e sul giornale locale leggiamo le previsioni meteorologiche dei prossimi giorni. Fino a giovedì variabile con assenza di pioggia. Bene! Se sono vere, la vacanza si concluderà in bellezza.
Il paesino è davvero grazioso. Le sue vie e i suoi vicoli hanno le targhe di ceramica decorata e scorci pittoreschi. Rientriamo al camper. Giuseppe esce di nuovo con la macchina fotografica. Nel pomeriggio, nonostante l’incertezza del tempo, decidiamo di percorrere il perimetro dell’isola lungo il sentiero pedonale. Dal camping in cinque minuti siamo all’oasi ornitologica, che si trova sul promontorio maggiormente proteso verso l’oceano. Quest’oasi è stata fondata nel 1912 e dal 2011 ha un piccolo museo. Arriviamo all’oasi appena in tempo per ripararci da un furioso acquazzone.
Il piccolo museo è interessante. Con filmati e diorami descrive l’avifauna di questa parte della costa bretone, mettendo in luce le specializzazioni anatomiche delle diverse specie, secondo il loro tipo di alimentazione. Becchi e morfologia del corpo si differenziano molto, perché alcuni uccelli si cibano di vermi di mare, altri di molluschi, altri ancora di pesci, che vivono in superficie e altri di pesci che vivono a maggiore profondità. Ci colpisce in particolare un uccello chiamato Fulmar du Bassan.
Ha una struttura corporea affusolata. Becco appuntito, piume gialle sul capo. L’ampiezza alare è notevole, considerate le dimensioni del corpo. Le penne remiganti sono nere, mentre il resto del corpo è bianco. Si ciba di pesce. Vola alto nel cielo. Quando avvista la sua preda, chiude le ali e diventa simile a un Mig. Precipita in picchiata a una velocità che può raggiugere i 90 km/h. S’infila nell’acqua come un provetto tuffatore, poi riemerge, inghiotte il pesce e riprende il volo.
Nell’oasi c’è un’area recintata, dove sono ricoverati alcuni uccelli. Vediamo all’opera un veterinario e due sue assistenti.
Riprendiamo il cammino. Ora c’è il sole. Superato un altro promontorio, ci sorprende ancora la pioggia. Decidiamo di abbreviare il percorso. Tagliamo attraverso il paese e raggiungiamo nuovamente il sentiero pedonale al ponte, che collega l’isola con la terra ferma. Da qui seguiamo ancora la costa. Questa parte di percorso è meno interessante, perché è una profonda insenatura.
In queste ore di bassa marea si vede il fondale marino melmoso. Anche il porticciolo è quasi asciutto. In lontananza si vedono dei surfisti a vela, che fanno acrobazie trainati dalle violente folate di vento. Ci sono dei momenti in cui il vento li strappa al mare e li fa volare.
E’ sera. La temperatura si è abbassata, ma i ragazzi non temono il freddo e nell’attesa del buio giocano con gli aquiloni che si librano nell’aria con voli simili a quelli dei gabbiani.

29 luglio, lunedì
Il vento continua a imperversare. Scompiglia le nuvole, le arruffa, le addensa e le dirada. Sono le ore 8.30, c’è il sole, ma il ticchettio che si sente sul tetto avverte che sta piovendo. E’ un attimo tanto intenso, quanto breve.
Ci mettiamo in marcia. Facciamo un altro spostamento verso est di circa cento chilometri. Seguiamo la costa, viaggiamo adagio per vedere bene il bel panorama.
A Trégastel la strada è interrotta, perché lungo la via principale del paese c’è il mercato. Seguiamo la freccia “deviation” ma dopo la prima indicazione non ce ne sono altre. Il navigatore non ci aiuta. Heidi è una svizzerotta un po’ testona.
Se deviamo dal percorso suggeritole, si ostina a lungo a riportarci su quella strada, invece di calcolare e trovare vie alternative. A un incrocio scegliamo una direzione, ci sembra la migliore, invece si rivela errata. Dopo un paio di chilometri facciamo inversione e quasi casualmente ci ritroviamo ad aver bypassato la “route barré”.
Ora la strada si snoda alta sul mare. Siamo sulla rinomata scogliera di granito rosa. In uno spiazzo su un promontorio sostiamo per ammirare l’intrigo di scogli rosa, che spiccano nell’azzurro del mare.
Riprendiamo la marcia.
Avvicinandoci a Perros-Guirec il traffico automobilistico diventa intenso e caotico. Transitiamo attraverso questa cittadina molto turistica e proseguiamo ritrovando l’austero paesaggio bretone. All’ora di pranzo sostiamo a Port Blanc in un posteggio fronte mare. Arriva anche un pullman di una scuola. Scende una schiera di bambini tra i 6 e i 10 anni. I loro accompagnatori scaricano un sacco di baguette, il fusto dell’acqua e un grosso contenitore con altro vitto. Li mettono tutti in cerchio, facendoli tenere per mano, quindi tutti si siedono e iniziano il loro pic-nic. Terminato il pranzo, andiamo alla Chapelle, una piccola chiesetta edificata nel 1663. Davanti al suo Calvario c’è la tomba del padre, che fu il primo parroco di questo piccolissimo borgo.
Poi continuiamo la nostra passeggiata sul lungo mare, passando tra due file di barche a vela e di catamarani, dagli alti alberi. Il vento, che continua a soffiare, porta ancora uno spruzzo d’acqua. Rientriamo al camper e ripartiamo. Ora ci addentriamo un po’ nel promontorio e giungiamo a Treguier, una cittadina che sorge sul profondo estuario del fiume Jaudy. Qui posteggiamo nell’area camper situata lungo il fiume. In pochi minuti siamo in centro.
Conosciamo Treguier, tuttavia merita un’altra visita. Il suo cuore è la grande cattedrale, intitolata a Saint Tugdual e al cui interno c’è il sepolcro di Saint Yves.
La chiesa è stata edificata in epoche successive. Del primo edificio romanico è rimasta la torre. Altre parti sono in stile gotico e gotico fiorito. Dalla grande piazza partono a raggiera tante viuzze con case d’epoca. In una di esse c’è la casa natale di Ernest Renan, famoso scrittore e storiografo delle religioni. Anche lo shopping trova il suo spazio. In un negozio di abbigliamento compriamo una giacca impermeabile di colore giallo per il nostro nipotino.
L’ultimo breve spostamento ci porta a Pointe de l’Arcouest, punto d’imbarco per l’Ile de Bréhat, che visiteremo domani. Contrariamente a quanto abbiamo letto su alcuni diari, in vero un po’ datati, non è possibile sostare per la notte presso l’imbarcadero.
Andiamo quindi al camping Du Rhou. E’ un piccolo campeggio terrazzato sul mare. La nostra piazzuola ha una bella vista sulla scogliera.
Viaggiando verso est abbiamo lasciato alle nostre spalle il sole, che oggi tramonta dietro le conifere del promontorio, illuminando in modo sempre più obliquo la scogliera.

30 luglio, martedì
Le isole ce l’hanno con noi. Chiudiamo gli occhi sotto il cielo stellato e ci svegliamo sotto la pioggia torrenziale. Dopo aver visitato le isole Aran in Irlanda in mezzo a una tempesta di pioggia e vento, ma allora avevamo prenotato la traversata, oggi non ce la sentiamo di andare all’Ile de Bréhat, arcipelago chiuso a qualsiasi traffico veicolare.
Aggiorniamo il programma. Con un lungo spostamento, speriamo di uscire da questo vortice di bassa pressione.
Siamo appena partiti e subito ci dobbiamo fermare all’incrocio con la ferrovia che passa da Paimpol. Vediamo le sbarre abbassate, due signore incuranti del segnale passano a piedi. Si sente il fischio del treno ed ecco ci passa davanti una sbuffante locomotiva. I suoi stantuffi spingono forte le ruote e dalla ciminiera esce un denso fumo nero. I finestrini dei vagoni d’epoca inquadrano i visi curiosi di tanti bambini. E’ il treno turistico che va da Paimpol a Pontrieux.
Più avanti un’automobile di grossa cilindrata, targata Francoforte, ci sorpassa rombando a grande velocità. Dopo qualche chilometro la vediamo ferma a rendere conto alla “gendarmerie” delle sue prodezze.
Seguendo la costa raggiungiamo Cap Fréhel. E’ uno straordinario capo a picco sul mare. Le sue falesie rosse e nere, di porfido e di arenaria, sono proprio un bel vedere per tutti i milanisti, noi compresi, e ci dispiace per chi non ha i nostri gusti!
Gli spuntoni rocciosi ospitano i nidi dell’avifauna. Si vedono numerosi uccelli in cova. Le pareti più a picco sono imbiancate di guano. Il promontorio è una grande riserva naturale, ricoperta di vegetazione nana.
Il faro domina il capo. E’ ancora abitato dal guardiano e la sua famiglia. E’ visitabile. Decidiamo di non salire perché, anche se non piove, l’intensa nuvolosità offusca l’orizzonte.
Pranziamo e ci rimettiamo in marcia verso Fort la Latte, l’altro capo di questo promontorio. Visitiamo la fortezza, che sorge sulla sua punta. E’ un castello, la cui costruzione fu iniziata nel XIII secolo dai signori Goyon. Il castello subì nei secoli assalti e distruzioni. Ciò che non crollò mai è stato il maschio. Sotto il regno di Luigi XIV per la sua posizione strategica, avamposto di Saint Malo, fu restaurato e armato. L’ultima devastazione la subì sotto l’occupazione tedesca. Ora è stato ristrutturato nelle sue parti principali. Saliamo fino alla sommità del maschio, da qui si ha una bella vista che spazia da Cap Fréhel a Saint Malo.
Il nostro viaggio continua. Transitiamo sul Barrage de la Rance. Il fiume sul cui estuario agli inizi degli anni ’60 è stata costruita la prima centrale elettrica mareomotrice. La centrale è visitabile. Non ci fermiamo, perché l’abbiamo già visitata vent’anni fa, nel nostro primo viaggio in Bretagna. Le turbine si muovono spinte dal flusso dell’alta marea e dal riflusso della bassa marea. L’energia cinetica dell’acqua si trasforma in energia meccanica e questa, tramite degli alternatori, in energia elettrica. Qui è possibile sfruttare questo moto periodico del mare, perché le maree raggiungono dislivelli notevoli, fino a 20 metri. Sapendo che un metro cubo di acqua pesa una tonnellata, si capisce con quale forza ruotano le pale delle turbine.
Il nostro viaggio odierno termina a Cancale, che si trova nella zona dove erano terminati anche i nostri viaggi precedenti. Posteggiamo il camper nell’area attrezzata, dove trascorreremo la notte.
Con una breve passeggiata siamo in paese. Cancale è rinomata per l’allevamento delle ostriche. Giuseppe ha già l’acquolina in bocca! Ritroviamo il ristorante Rocher de Cancale, dove avevamo pranzato nell’ultimo viaggio.
Ci accolgono due giovani. Uno ci chiede in un mix d’italiano e francese se è la nostra prima volta. Quando gli rispondiamo che abbiamo pranzato qui dieci anni fa, sorride. Ci dice che lui era un bambino e che nel frattempo la gestione è cambiata. La qualità della cucina non è però mutata e anche i prezzi sono equi.
Dopo cena, dal faro scendiamo lungo il molo, dove sono rimaste le strutture dei vecchi allevamenti. Paola raccoglie ancora conchiglie, queste hanno il cuore di madreperla.
La giornata iniziata con una forte delusione non è stata persa, anzi ci ha dato nuove conoscenze.

31 luglio, mercoledì
Oggi è il nostro ultimo giorno in Bretagna. Alle ore 8.00 arriva strombazzando il boulanger, ottima occasione per una dolce colazione alla francese.
Da Cancale prendiamo la direzione Dinan, Rennes e da qui con un breve spostamento verso ovest raggiungiamo la foresta di Paimpont, detta anche Fôret de Broceliande, rinomata perché per la sua natura selvaggia è stata il set di numerosi film ambientati nel medioevo. Al suo interno c’è la tomba di Mago Merlino. Arrivati a Paimpont proseguiamo seguendo l’indicazione tomba di Merlino.
Al primo parcheggio posteggiamo e poi con una bella passeggiata nel bosco ci dirigiamo verso la meta.
La foresta è davvero un incanto. E’ un intrico di pini e querce, che crescono in un ambiente molto umido. Lungo il sentiero massi di porfido quasi completamente coperti dal muschio creano un’atmosfera fiabesca.
Siamo soli. Ogni tanto ci fermiamo per farci sorprendere dalla sua vita e dai suoi suoni. Insieme a qualche goccia d’acqua, rimasta tra le fronde, ora scosse dal vento, scendono dall’alto i trilli e i cinguettii degli uccelli. Il sottobosco, costituito da agrifogli, cespugli di lamponi e verdissime felci, è attraversato da silenziose farfalle e da ronzanti bombi, che vanno a succhiare il nettare dell’erica fiorita.
Il sommesso gorgoglio di un piccolo ruscello ci fa scoprire vicino alle sue sponde i funghi. Sono di specie velenose. Alcuni sono stati calpestati da persone ignoranti, che non conoscono il benefico compito svolto con la loro attività di decompositori: restituire al terreno i sali minerali utili e necessari alle piante per la loro crescita.
Dentro il bosco s’intersecano numerosi sentieri, tutti sono indicati con un contrassegno, ma l’indicazione tomba di Merlino non c’è.
Incominciamo a supporre che la tomba non esista, dato che il personaggio è immaginario. Giriamo a caso in un luogo romantico. Quando ormai siamo sulla buona strada, ci raggiunge una ragazza con un bel cagnolone al seguito. La magia di Merlino riesce a far dire a Paola che un cane è bello! Chiediamo se siamo nella giusta direzione, ci conferma che siamo orientati bene. Arriviamo alla tomba di Merlino: è una delusione. Sono due menhir accostati l’uno all’altro. Dietro c’è una piccola conifera, che raccoglie i desideri dei visitatori. E’ un mago e allora perché non chiedergli un prodigio? Noi a questo gioco pagano non partecipiamo. Ci rituffiamo nella foresta e quando stiamo per uscirne, salutiamo la Bretagna con la foto di commiato.

1 agosto, giovedì
Primo giorno di rientro. I 1200 km che ci separano da casa li dividiamo in tre tappe di circa 400, 500 e 300 km.
Lasciamo il bel campeggio municipale di Paimpont, ripercorriamo parte della foresta e ci indirizziamo verso Rennes, il capoluogo della Bretagna. Con l’autostrada raggiungiamo Le Mans. Qui usciamo dalla grande arteria, perché Giuseppe vuole percorrere lo storico Circuito cittadino, lungo il quale si svolge la famosa 24 ore di Le Mans, una corsa automobilistica, destinata ai prototipi.
In questa corsa sulla stessa vettura si alternano tre piloti. Del circuito è rinomato il rettilineo Hunaudières, che i bolidi percorrono a velocità superiori ai 300 km/h. Il rettilineo, lungo 6,75 km, termina con la curva di Mulsanne.
Noi non siamo Andretti, né Merzario, né altri grandi campioni, che hanno vinto più volte la spettacolare corsa. Ci accontentiamo di percorrere questa strada della viabilità ordinaria con il camper entro i limiti di velocità consentiti per la circolazione cittadina.
La strada dà però il senso della pista. Alcune sue curve hanno la parte interna con i cordoli gommati, colorati di giallo e azzurro, e la parte esterna protetta dai copertoni.
Dopo la pausa pranzo, un buon piatto di prosciutto e melone è ottimale in questa giornata, che sta diventando torrida, riprendiamo il viaggio in direzione di Orléans. Entriamo nella regione della Loira. Non ci sono autostrade, percorriamo delle dipartimentali. Sono strade piacevoli, che si snodano su un tavolato leggermente ondulato, seguendone la morfologia. La zona è scarsamente abitata. I piccoli villaggi sono piuttosto anonimi.
Che differenza con quelli bretoni! Ci colpisce il nome di un paesino Saint Cérotte. Il nome, italianizzato, ci fa ridere. Lungo le strade incontriamo quasi esclusivamente mezzi agricoli. La zona è un immenso campo inframmezzato da aree di bosco.
Il mais sta fiorendo, per gli altri cereali e la soia è il tempo del raccolto. Le mietitrebbie si muovono avanti e indietro per i campi alzando polveri dorate. Si recano ai margini delle coltivazioni e riversano il loro carico nei rimorchi di grossi trattori, che portano il raccolto ai grandi silos. E’ un lavoro intenso, è la base dell’economia di ogni grande paese.
Quando il traffico, soprattutto quello camionale aumenta notevolmente, ci accorgiamo di essere a Orléans, quindi quasi arrivati alla nostra meta. Superiamo la città e ci dirigiamo a Bellegarde du Loiret, un paesino con un castello e il camping municipale. Appena giunti, siamo sorpresi. Il camping è aperto, ma il suo cancello ha una sbarra che impedisce l’ingresso ai mezzi più alti di 170 cm, però dentro c’è un camper. Giuseppe chiede all’accueil se non accettano camper. La signora dà una spiegazione poco chiara, poi toglie la sbarra e ci fa entrare. Troviamo una piazzuola all’ombra. Siamo i secondi ospiti del campeggio. I servizi sono belli, profumano di pulito, ma non è possibile vuotare il WC chimico, perché il camping non è ancora attrezzato per smaltire questo genere di rifiuto. Avendo questa necessità, ci facciamo restituire la spesa e lasciamo il posto. Peccato, avremmo voluto visitare il paese. Con il navigatore cerchiamo un altro campeggio nella zona. Ne individuiamo uno a 12 km. Diamo l’OK e partiamo diretti al camping l’Etang des Bois. Alle ore 18.30 possiamo finalmente dichiarare conclusa la prima tappa del rientro.

2 agosto, venerdì

Grand, gross e ciula fin al oss.
Piscinin, brüt e catiif

Queste due espressioni milanesi descrivono bene i due tipi di zanzara, che ieri sera insidiavano la nostra incolumità. D’altronde un campeggio affacciato a uno stagno e immerso nel bosco non poteva non essere popolato da questi fastidiosi insetti. Dalle zanzare grandi, grosse e imbranate ci siamo difesi bene, mentre da quelle piccole, brutte e cattive, un po’ meno. Nonostante lo zampirone su Paola hanno lasciato qualche segno.
La tappa odierna è la più lunga, per questo decidiamo il percorso che abbia più chilometri autostradali.
Ci sposteremo verso est e poi un po’ a sud verso Digione, per proseguire ancora a est. Alle ore 9.00 partiamo e dopo un paio di chilometri troviamo sbarrata la strada che porta direttamente in autostrada. Seguiamo le indicazioni “deviation”, con un giro di una decina di chilometri su stradine di campagna raggiungiamo la grande arteria. Giuseppe attiva il regolatore di velocità sui 90 km/h.
Grande comodità questo optional! Accompagnati dalla nostra musica, viaggiamo tranquilli, grazie anche all’assenza di traffico. Il paesaggio è piacevole. Abbandoniamo la zona cerealicola e entriamo in una verde: erbai, pascoli e boschi si estendono sull’ondulato tavolato. In una delle numerose aree pic-nic pranziamo. Anche oggi un pranzo leggero, perché devono seguire altre ore di viaggio. Di lì a poco giunge al suo tir il camionista, gustandosi un gelato di una nota marca. L’idea di una merenda gustosa ci sollecita. Ne acquistiamo due. Sono i secondi e ultimi gelati di questa bella vacanza. Il viaggio riprende, si passa da un’autostrada all’altra. Transitiamo per lo spartiacque dei tre bacini idrografici tributari della Manica, con la Senna, dell’oceano Atlantico, con la Loira e del mare Mediterraneo, con il Rodano. Il paesaggio diventa sempre più forestale, ma il caldo rimane costante. Noi ne siamo esenti, grazie all’aria condizionata. Il termometro che segna la temperatura esterna indica 35°C.
A Belfort usciamo dall’autostrada, per evitare un altro pedaggio. La nostra Heidi con il suo tono petulante e perentorio continua a ricalcolare. Vuole farci tornare indietro e riprendere l’autostrada. La zittiamo. Questa strada la conosciamo bene. Da Belfort seguiamo la dipartimentale per Basilea e ci fermiamo ad Altkirch. Soddisfiamo la fame di gasolio del nostro mezzo, un ultimo pieno a 0.30 € in meno rispetto al costo del gasolio in Italia. Sostiamo al campeggio Les Acacias, dotato di camper service. Comodamente seduti sul suo bel prato all’ombra, aspettiamo il tramonto, sperando che l’aria si rinfreschi. Più tardi arriva un equipaggio tedesco. E’ un camion adattato a camper. E’ una famiglia di cinque persone. Il figlio maggiore guida. Posteggiano e come noi si rilassano sulle loro poltroncine. Il papà prende un taccuino e scrive degli appunti, il figlio l’i-pad. Che differenza tra le generazioni!
3 agosto, sabato
In futuro, se occorre un’ultima notte in prossimità dell’Italia, non potrà che essere a un’altitudine superiore ai 1000 m. Questa notte abbiamo davvero sofferto il caldo. Ci siamo coricati con una temperatura di 28°C e ci siamo svegliati con una temperatura di 24°C. Troppo per i nostri gusti!
Da Altkirch proseguiamo sulla dipartimentale fino a raggiungere l’autostrada che ci porta a Basilea. Breve sosta alla frontiera per l’acquisto della vignette che consente la circolazione sulle autostrade elvetiche, poi oltrepassiamo la città mediante i suoi lunghi tunnel.
Continuando, dei cartelli indicano che il Gottardo non è transitabile. Per l’Italia bisogna seguire le indicazioni Zurigo, Coira, San Bernardino. Pessima notizia. Questo itinerario alternativo ci costerà circa 100 chilometri in più. Quando giungiamo a Zurigo, ci sorprende una novità. Non si deve più transitare per la città, perché con una serie di tunnel sotterranei la si lascia alle spalle. I chilometri passano e noi ci consoliamo guardando il paesaggio alpino, che è sempre incantevole. A Splügen sostiamo per il pranzo, poi continuiamo senza soste fino a Milano.